Introdurre un argomento come quello dei Beni Culturali comporta delle difficoltĂ intrinseche, a causa dei vari approcci che si possono avere nell’accostarsi ad un tema tanto complesso, a cui intendo guardare come ad un’ereditĂ che si tramanda.
Due aree: una naturale, l’altra cementificata
Oggi l’Italia conta milioni di cittadini eredi di un’incommensurabile fortuna, ma cattivi amministratori. La storia Italiana ha tessuto una tela consistente di beni mobili e immobili, tanto che il territorio nazionale è unico nel suo genere. Insomma un paesaggio culturale che necessita valorizzazione e protezione da parte dello Stato e degli enti complementari. Al fine di comprendere l’attuale disciplina sui beni culturali e ambientali del nostro Paese occorre dire, in prima analisi, che la potestĂ legislativa in materia spetta allo Stato, il quale ha provveduto ad emanare il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, nel maggio del 2004.
Grazie all’articolo 9 della Costituzione che recita “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, la funzione pubblica di tutela del patrimonio culturale e ambientale assurge alla massima dignitĂ legislativa. Purtroppo, nonostante la vasta materia giuridica in tema di beni culturali che “sulla carta” appare foriera di buone intenzioni nell’applicazione pratica risulta priva di piena efficacia. Un caso pratico, che mette in evidenza questi limiti, riguarda il sito archeologico di Capo Colonna, dove l’incompetenza o lo scarso interesse per le identitĂ culturali del territorio crotonese avrebbe portato alla “quasi” distruzione di un luogo ricco di storia. Al di lĂ dei particolari della vicenda, ancora nient’affatto conclusa, si sono visti i suddetti limiti della disciplina: in particolare da parte delle amministrazioni locali e non solo, nell’ applicare con oculatezza le normative vigenti in materia di beni culturali ma anche nel dare una risposta veloce ed efficace alle nefandezze che si stavano consumando. Il tutto perchĂ©, in Italia, buona parte delle classi dirigenti non considerano la cultura e la natura come risorse per lo sviluppo, bensì ornamenti in grado di qualificare il contesto produttivo da cui dipende la ricchezza reale, ma non certo di modificarlo o orientarlo.
Secondo questo concetto, cultura e ambiente non solo non producono ricchezza materiale, ma addirittura la consumano e quindi vengono tagliate le risorse destinate a questi settori e vengono attenuati gli strumenti per la tutela perchĂ© considerati vincoli dannosi per l’economia. Questo fa a pugni con una dichiarazione di Massimo Carcione, secondo il quale la cultura potrebbe rientrare nel concetto di “Diritto alla FelicitĂ ” contenuto nella Costituzione degli Stati Uniti d’America, siccome rappresenta il diritto dell’uomo alla propria storia, coscienza, dignitĂ e libertĂ ovvero tutto ciò che ci distingue dagli altri esseri viventi. Ad esempio, l’archeologia serve ad interrogarci sul nostro passato, a ricercare la nostra identitĂ . Uno scrittore inglese, George Gissing, spinto sullo Ionio dalle dall’amore per l’antichitĂ classica, intendeva rivedere i luoghi citati da personaggi quali Orazio o come Pitagora. Ma arrivato a Crotone esclama: «Che ne è stato delle rovine di Crotone? Nella squallida cittĂ di oggi non resta traccia dell’antichità ». Contrappose il presente al passato, questo paese assetato e malarico alla grande cittĂ che, un tempo, aveva nome di essere la piĂą salubre del mondo. Cosa impariamo? Molte delle nostre antichitĂ sono disperse per il mondo, queste si sono salvate ma hanno perso la loro identitĂ . Non è possibile e non è utile smembrare il patrimonio per portarlo altrove e disseminarlo in giro per l’Europa. Il vero museo non è composto solo da oggetti ma dai luoghi, dai siti, dalle montagne, dalle relazioni tra gli oggetti. Si parla del contesto. L’opera d’arte può essere trasportabile, il contesto no. Il museo di cui parlo è il museo a cielo aperto fatto di luce, colori e tradizioni. Cicerone diceva che le statue trasportate a Roma dalla Grecia non erano piĂą così belle perchĂ© perdevano il loro valore. Sicuramente il museo a cielo aperto comporta l’idea che il tessuto sociale, civile, commerciale della cittĂ non cambierĂ mai. Ma la solennitĂ che si prova nel trovarsi in sito archeologico e di vedere le nostre antichità “incastonate” nel quadro naturale, ci fa viaggiare con la mente e ci fa pensare cosa avveniva li su quell’erba che calpestiamo, o quali parole venivano pronunciate da Pitagora su quel promontorio sacro. Osservare le opere nel contesto naturale, permettetemelo, è tutta un’altra storia! Purtroppo Crotone stenta ad essere considerata un punto autorevole dell’archeologia. Il materiale disperso viene comunque seguito non è abbandonato. Se, al contrario, distruggiamo il nostro passato e sperperiamo la nostra ricchezza, beh una volta distrutti non ne siamo piĂą padroni! Quindi dobbiamo continuare ad avere fiducia nel futuro della conoscenza di questa cittĂ , e dobbiamo capire che solo la cultura può renderci competitivi. Crotone è una cittĂ che è sempre esistita e che ha secoli di cambiamenti alle spalle. La descrizione di questa nostra realtĂ attuale offre un panorama in cui le conoscenze in materia, cui corrispondono le competenze istituzionali, appaiono frammentate. Al soprintendente (storico-artistico, architettonico, archeologo, archivistico, bibliotecario) non si affiancano gli esperti del diritto dei beni culturali, della comunicazione o gli economisti della cultura. Nel settore del patrimonio culturale italiano, le conoscenze complessive legate alla gestione e le figure istituzionali sono distinte. La patologia di cui sto parlando, risiede nel fatto che non vi è dialogo tra le discipline , tra l’esperto e l’opinione pubblica. Per divenire, perciò, una virtuosa specializzazione deve aprirsi alla collaborazione tra ogni diversa figura professionale.